Il calcio, lo sport, il giornalismo, la società italiana, l’evoluzione dei costumi. Ricordi ed emozioni, ma anche insegnamenti professionali e di vita. La conviviale di marzo del Panathlon Club di Treviso che ha visto ospite Riccardo Cucchi, indimenticabile voce delle radiocronache del pallone domenicale, ha emozionato la platea regalando pillole di saggezza e piccole curiosità. “Ora lo posso dire, sono tifoso laziale – ha ammesso Cucchi, autore del libro “Radiogol” edito da Il Saggiatore – Ho vissuto i due scudetti biancazzurri in maniera differente, il primo in curva con gli amici ed il secondo da giornalista. Ma la radio è sempre stata presente: all’Olimpico è impossibile riuscire a distinguere con nitidezza quanto avviene in campo ed era logico, in un’epoca in cui non esistevano gli smartphone, restare con l’orecchio incollato alla radiolina per ascoltare la diretta de “Tutto il calcio”. Anche allo stadio. E così fu nel 1974. Quel giorno non pensai certo che avrei poi trascorso buona parte della mia vita raccontando le partite davanti ad un microfono”.

IL MESTIERE DI CRONISTA – “Si imparava dai migliori. Ciotti, Ameri, Bortoluzzi: erano loro i maestri. I giovani si accomodavano al loro fianco in tribuna stampa cercando di carpire un dettaglio, una sfumatura. E nel frattempo si stilavano le statistiche basilari, ad esempio i calci d’angolo da passare a fine partita al collega che stava concludendo la radiocronaca, sperando di non aver sbagliato il computo”. Lavorare alla radio richiedeva competenza, professionalità, creatività. Ed assenza di accento: “Guai a regionalizzare una radiocronaca. Andavamo a scuola dal grande attore Arnoldo Foà per lavorare sulla voce, limare l’inflessione della parlata, allenare il diaframma. E l’uso della lingua italiana era fondamentale sia per descrivere quanto stava avvenendo in campo che per offrire un giudizio tecnico o estetico. L’ascoltatore non doveva essere scioccato ma stimolato ad immaginare quanto stava avvenendo in campo. Purtroppo oggi questo lato romantico del giornalismo sportivo è ormai perduto ed è un difetto che accompagna quel famoso analfabetismo funzionale che sta contagiando gli italiani. La lingua italiana è più povera, non c’è pazienza di ascoltare né voglia di capire”.

Cucchi 2IL RUOLO DELLA TELEVISIONE – “Confesso di aver rinunciato a proseguire la collaborazione con “La Domenica Sportiva”: è un altro mondo, distante da quello cui sono abituato. La polemica sull’utilizzo del VAR è qualcosa di strumentale, funzionale al ruolo che la televisione ha nel calcio italiano. Quest’ultimo ricava il 70% dei propri introiti dalla cessione dei diritti televisivi, un’enormità se rapportato all’esempio spagnolo o inglese. Ricordo che tanti anni fa le radiocronache iniziavano soltanto nel secondo tempo delle partite perché i vertici del pallone temevano che in caso contrario gli stadi si sarebbero svuotati a causa del presunto rischio di un’abitudine del tifoso medio di ascoltare piuttosto che vedere dal vivo. Oggi mi fa sorridere che, con lo spezzatino dei calendari, si voglia tenere incollati gli appassionati al televisore ed alla poltrona. Lo stesso VAR è stato introdotto per dotare anche gli arbitri di uno schermo cui rivolgersi: i fischietti erano l’unica categoria rimasta a non essere toccata dalla rivoluzione del video”.

PROFESSIONE GIORNALISTA – “Non si può essere tifosi e giornalisti. Questo vale per ogni ambito, dallo sport alla politica passando per la cronaca. Ho imparato che occorre sempre equidistanza e senso critico. Enzo Biagi diceva che il giornalista è un testimone della realtà, dunque occorre obiettività nel racconto dei fatti. Viceversa si scredita un’intera categoria. Lampante il caso di quel giornalista che ha offeso una donna guardalinee: mi auguro che venga radiato dall’Ordine. Non possiamo permetterci di perdere credibilità, è il nostro patrimonio più importante, siamo il tramite tra il pubblico e quanto avviene nel mondo ed è necessario astenersi da commenti partigiani che possono fuorviare l’ascoltatore o il lettore. Contano moltissimo anche la cultura e la preparazione: ora è tutto più semplice grazie ad internet ma una volta ci si doveva recare sul posto anche due giorni prima per studiare una squadra straniera da commentare. Oppure farsi spedire via fax volti e schede dei giocatori, sperando che il foglio non arrivasse sbiadito”.

Radiogol-350x486NON SOLO CALCIO – “Il pallone è il primo amore e se devo indicare un campione che mi ha conquistato dico Mario Frustalupi, un vero numero 10. Ma in carriera ho commentato anche altre discipline, dal basket all’atletica fino all’hockey, coprendo otto Olimpiadi. Con la scherma ho avuto un rapporto particolare, decisi di provare a tirare in pedana iscrivendomi ad un circolo a Roma e frequentandolo per sei mesi. Lì imparai le finezze e le terminologie, dettagli utilissimi per una radiocronaca. Perché la differenza nel servizio all’ascoltatore la fa sempre la qualità. Oggi più che semplici resoconti il pubblico vuole storie, vuole conoscere retroscena, vuole ascoltare racconti che riguardano situazioni o personaggi. Le informazioni basilari sono ovunque, la bellezza di un servizio risiede nella capacità di esporre qualcosa di diverso e di insolito”.