L’anemia mediterranea, conosciuta anche con il nome di beta talassemia, è una patologia su base genetica che provoca la distruzione dei globuli rossi, con conseguenze potenzialmente deleterie per l’organismo.

Finora l’unico trattamento definitivo per questa malattia consisteva nel trapianto di midollo, una tecnica che di fatto può essere impiegata solo in un selezionato numero di casi. Tuttavia, nuovi studi sulla terapia genica sembrano offrire ulteriori speranze.

Terapia genica, l’efficacia contro la talassemia

L’anemia mediterranea è una patologie del sangue di gravità variabile: in forma minor comporta sintomi che si manifestano in maniera lieve, in forma major, invece, implica scarso accrescimento, ittero, gonfiore addominale, deformità delle ossa del viso e ingrossamento della milza.

In quest’ultimo caso, è fondamentale ricorrere frequentemente (ogni 15-20 giorni) a trasfusioni di sangue, assumendo contestualmente anche farmaci mirati. L’alternativa, è il trapianto di midollo osseo, che purtroppo non sempre è praticabile.

Lo studio

Recentemente gli scienziati hanno messo a punto una nuova terapia genica che sembra essere molto promettente. La sperimentazione ha coinvolto nove centri (tra cui l’italiano Ospedale Bambino Gesù di Roma) e ha preso in considerazione 23 pazienti dipendenti da trasfusioni.

I risultati, pubblicati sul New England Journal of Medicine, sono realmente interessanti. Grazie alla terapia, infatti, il 91% dei partecipanti allo studio non ha subito trasfusioni per almeno un anno.  Nei restanti casi, i valori di emoglobina sono comunque migliorati a tal punto da ridurre considerevolmente il numero di trasfusioni.

Entrando nel dettaglio, parliamo di una terapia che va ad agire sulla causa della talassemia. La malattia, infatti, è provocata da una mutazione del gene HBB ed è qui che bisogna intervenire. La terapia genica- chiamata Betibeglogene autotemcel (o beti-cel)- viene somministrata alle cellule staminali ematopoietiche del paziente: queste vengono prelevate, modificate geneticamente e poi reinfuse nel soggetto.

Al momento, la cura è approvata dall’Ema solo per soggetti con età superiore a 12 anni e affetti da una specifica mutazione genetica. Tuttavia, i risultati fanno sperare che tale cura in futuro possa essere estesa anche ad altre tipologie di malati.