Con la definizione di cohousing si indicano insediamenti abitativi composti da alloggi privati corredati da ampi spazi comuni (coperti e scoperti) destinati all’uso comune e alla condivisione tra i cohousers. In questi quartieri sono inseriti diversi servizi collettivi da destinare a ampie cucine, lavanderie, spazi per gli ospiti, laboratori per il fai da te, spazi gioco per i bambini, palestra, piscina, internet cafè, biblioteca e altro.

La sua nascita nella forma attuale viene fatta risalire al 1964, quando un architetto danese comincia il proprio percorso per la creazione della comunità di Skråplanet, primo caso riconosciuto di bofælleskaber, termine danese per indicare il fenomeno. A partire dagli anni settanta il cohousing comincia a prendere piede nei paesi dell’Europa del nord, e in particolare in Danimarca, Paesi Bassi e repubbliche scandinave, poi verso i paesi mediterranei, tra cui l’Italia.
Di solito un progetto di cohousing comprende dalle 20 alle 40 famiglie che convivono come una comunità di vicinato (vicinato elettivo) e gestiscono gli spazi comuni in modo collettivo ottenendo in questo modo risparmi economici e benefici di natura ecologica e sociale. Il cohousing si sta affermando come strategia di sostenibilità: se da un lato, infatti, la progettazione partecipata e la condivisione di spazi, attrezzature e risorse agevola la socializzazione e la mutualità tra gli individui, dall’altro questa pratica, unitamente ad altri approcci quali ad esempio la costituzione di gruppi d’acquisto solidale, il car sharing o i diversi servizi utilizzati in comune, favoriscono il risparmio energetico e diminuiscono l’impatto ambientale della comunità.
A Villorba, in provincia di Treviso, da circa un anno e mezzo è stato concretizzato un virtuoso esempio di cohousing chiamato BORGO PONTE CANALE. Abbiamo incontrato alcune famiglie che hanno scelto questa modalità abitativa e scelta di condivisione per conoscere alcuni dettagli della quotidianità condivisa.
Come nasce il progetto del Borgo Ponte Canale?
Il progetto di cohousing a Villorba parte circa 6 anni fa in occasione dalla Fiera4passi e dalla proposta di uno studio di architettura TAMassociati e un costruttore Ecodomus che proponevano un progetto di cohousing nella Marca trevigiana. Sono iniziati, quindi, una serie di incontri preliminari di presentazione con circa 40 famiglie, da cui si sono aggregate una decina famiglie realmente ed è iniziata la ricerca del terreno adatto al progetto nella zona di Treviso Nord che meglio rispondeva topograficamente alle esigenze delle famiglie coinvolte.
Con l’acquisto del terreno e la definizione di un gruppo definitivo di sette famiglie, il progetto è entrato nella fase costruttiva, l’ottava famiglia (necessaria a break even del progetto) è stata coinvolta solo nell’ultima fase, quando diverse abitazioni erano già pronte.

Oggi Borgo Ponte Canale è inserito in un terreno tra i 6 e 7 mila metri quadri dove si trovano 8 abitazioni unifamiliari di circa 100 metri quadri ciascuna e uno spazio condiviso coperto destinato a casa comune di circa 80 metri quadri.
Abbiamo scelto che le abitazioni non fossero accessibili dalle auto, è stata creata una zona parcheggio scoperta all’entrata del borgo così che tutto lo spazio comune tra le abitazioni fosse sicuro e i bambini potessero muoversi senza pericoli, lasciando il perimetro interamente pedonale, una scelta sofferta, ma condivisa dalla famiglie.
Questo per anticipare che tutte le scelte della progettazione partecipata nata dall’incontro molto frequente (quindicinale) tra i soggetti coinvolti, ha visto esprimere le scelte delle famiglie accompagnate o in contrasto con gli architetti, hanno generato scelte del tutto condivise, né autonome né a maggioranza.
Continuano ancora riunioni, non esclusivamente condominiali, ma inerenti alle scelte di lavori ancora in attuazione o riguardo alle regole educative per i bambini, così da poter gestire gli spazi comuni in armonia, o sull’uso e la gestione degli spazi comuni e coinvolgimento di gruppi esterni.

Cosa significa vivere in cohousing?
Lo stiamo ancora sperimentando. Per ora, possiamo citare come un esempio positivo la condivisione di alcune fatiche nella gestione quotidiana dei bambini. Siamo tutte famiglie molto omogenee, con 2 o tre bambini ed età tra 1 e 12 anni. Condividere il trasporto scolastico con una persona a turno che porta anche i figli degli altri, condividere le risorse facendo la spesa attraverso un Gas (gruppo di acquisti solidali) inoltre abbiamo una baby sitter condivisa che accoglie i bambini e li accudisce fino al rientro dei genitori.
Anche le case sono state tutte esposte a sud e ruotate, orientandole per garantire a ogni famiglia “il diritto al sole”, evitando che le abitazioni si facessero ombra.
La casa comune è all’entrata del Borgo, non tra le abitazioni, così da fungere da frontiera e al tempo stesso è accessibile, senza disturbare le altre famiglie.
Per tutti è una nuova modalità di vita tutta da costruire, molto creativa.

Quali principi di condivisione sono concretizzati?
Partito come progetto di vicinato, siamo arrivati a condividere la vita e la quotidianità, la condivisione dello sforzo di accoglienza degli altri, per come siamo, nel nostro disordine o nel nostro modo di riprendere il figlio dell’altro. La sfida vera è riuscire a gestire in parte la propria privacy e in un contesto così comune, trovare l’equilibrio tra gli spazi individuali e quelli familiari.
cohousing bassa