Sono molte le persone che durante questa pandemia hanno sperimentato o stanno sperimentando angoscia, paura e ansia all’idea di uscire dal confinamento. Questo fenomeno psicologico è noto come “sindrome della capanna”.
La casa, infatti, viene percepita come luogo sicuro, al contrario dei contesti esterni.
Sindrome della capanna: cos’è e chi ne soffre
Partiamo da una premessa: la sindrome della capanna (o sindrome del prigioniero) non è un disturbo psichiatrico, né psicologico. È una particolare situazione emotiva che può manifestarsi a seguito di un periodo prolungato di confinamento.
Parliamo di un fenomeno che riguarda molte persone che durante l’emergenza in atto si sono abituate a stare a casa, alla quarantena e alle restrizioni e che pertanto percepiscono come ansiogena la realtà esterna. Tornare ad uscire, infatti, vuol dire lasciare un luogo sicuro per l’ignoto.
Una fase di incertezza può durare fino ad un paio di settimane, tuttavia alcune persone possono manifestare difficoltà anche per alcuni mesi. È il caso, ad esempio, di soggetti poco flessibili o che faticano ad adattarsi alle nuove situazioni, di chi è restio a rimettersi in discussione, ma anche di persone ansiose, fragili o depresse.
I sintomi
Uno dei sintomi più comuni legati alla sindrome della capanna è la letargia: chi ne soffre, infatti, tende a sentirsi stanco, affaticato e non riesce a svolgere le normali attività quotidiane.
Inoltre, si può riscontrare anche difficoltà di concentrazione, angoscia, malinconia, apatia o tristezza. Un ultimo tratto distintivo, infine, è legato alla paura di uscire, che talvolta può anche essere parzialmente camuffata adducendo una serie di scuse più o meno verosimili.
Quando è il caso di chiedere aiuto
Quando i sintomi diventano invalidanti o perdurano nel tempo è opportuno chiedere aiuto o rivolgersi ad uno specialista.
Se varcare la soglia di casa o incontrare altre persone, infatti, genera una condizione di ansia preoccupante la cosa migliore è ricevere19 un supporto professionale e qualificato.
