I “nomadi digitali” sono tutti quei lavoratori dipendenti o freelance che, complice la rivoluzione imposta dalla pandemia, hanno deciso di abbracciare uno stile di vita più flessibile e autonomo.

Non essendo legati a una sede fisica, possono lavorare da remoto ed eventualmente spostarsi di Paese in Paese a seconda delle proprie esigenze. In Italia si definiscono digital nomad i lavoratori compresi nella fascia 30-49 anni (64 per cento), seguiti dagli over 50 (27 per cento) e solo dopo dagli under 30 (9 per cento), con una prevalenza delle donne (che rappresentano il 54% del totale).

Nomadi digitali all’estero

All’estero il fenomeno è ancora più sentito e, potendo scegliere, l’Italia resta una delle mete più ambite per il nomadismo digitale. Tuttavia, l’ostacolo maggiore resta la durata limitata del visto turistico, che ha una durata di massimo 90 giorni nell’arco di sei mesi.

Per superare questi limiti burocratici, nei mesi scorsi il governo ha approvato un nuovo decreto ad hoc: i cittadini di un Paese extra-EU che svolgono attività lavorative compatibili con il lavoro da remoto in modo autonomo o per un’azienda che non risiede nel territorio italiano, infatti, potranno richiedere un permesso di soggiorno della durata di un anno.

Le opportunità

Sono ancora da definire i requisiti fiscali e assicurativi e le categorie di lavoratori che potranno ricevere il visto, ma l’iniziativa è un’importante novità finalizzata ad attrarre talenti e incoraggiare il ripopolamento di territori che altrimenti resterebbero disabitati.

È il caso degli assolati paesini del Meridione, ma anche di alcune località montane a bassa densità demografica.

“Abbiamo tantissimi borghi e i lavoratovi in remoto possono riportarli in vita” ha dichiarato il Ministro della Cultura Dario Franceschini. “Ora che le persone possono lavorare senza essere fisicamente presenti in ufficio, l’isolamento di questi luoghi non è più un problema ma parte della loro bellezza”.