Il genere umano non aveva mai assistito a un incubo così grande eppure, quando si pensava non si potesse andare oltre, il regime nazista superò sé stesso e diede il via alla creazione del più grande campo di sterminio. Nel dicembre 1939 si pose allo studio la possibilità di costruire un nuovo campo di concentramento nella zona di O?wi?cim (Auschwitz). Il luogo fu scelto per la presenza di una caserma di artiglieria polacca caduta nelle mani della Wehrmacht, fuori dalla città, quindi facilmente escludibile dal mondo esterno, alla confluenza tra i fiumi Vistola e So?a. La posizione era inoltre provvista di favorevoli collegamenti ferroviari con la Slesia, il Governatorato Generale, la Cecoslovacchia e l’Austria che avrebbero semplificato la deportazione degli elementi “ostili”, “asociali” e degli ebrei. P1010322La nascita del campo di sterminio era principalmente dovuta al fatto che, durante le prime fasi dell’invasione nazista, venivano eseguite numerose fucilazioni di massa (svolte dai soldati dell’esercito) dei “Nemici del Popolo Tedesco; ma ciò portò a numerosi casi di diserzione e suicidi nelle file dell’esercito tedesco, i cui soldati faticavano ad accettare ordini che comportavano la fucilazione di vecchi, donne e bambini. La scelta di aprire appositi campi di sterminio veniva incontro anche all’esigenza di evitare il lavoro “sporco” ai semplici soldati di leva. I campi di sterminio assolvevano tre necessità: segretezza delle operazioni; efficienza nello sterminio, applicato in scala industriale; indipendenza dall’esercito, in quanto svolto da corpi speciali (le SS totenkopf). Auschwitz era l’ideale. Auschwitz, in realtà, è un vasto complesso di diversi campi di concentramento e di lavoro. Oltre al campo originario, denominato Auschwitz I, nacquero diversi altri campi del complesso, tra cui il famoso campo di sterminio di Birkenau (Auschwitz II),  il campo di lavoro di Monowitz (Auschwitz III), situato a Monowitz, e altri 45 sotto-campi in cui i deportati venivano utilizzati appositamente per lavorare nelle diverse industrie tedesche costruite nei dintorni.

Il complesso, il più grande mai realizzato , svolse un ruolo fondamentale nel progetto di “soluzione finale” divenendo rapidamente il più efficiente centro di sterminio della Germania nazista, sinonimo di “fabbrica della morte”. L’area di interesse del campo (Interessengebiet), con sempre nuove espropriazioni forzate e demolizioni delle proprietà degli abitanti residenti, arrivò a ricoprire, dal dicembre 1941, la superficie complessiva di circa 40 chilometri quadrati. All’interno di questa superficie avevano sede anche alcune aziende modello, agricole e di allevamento, nelle quali i deportati venivano sfruttati come schiavi. Auschwitz II (Birkenau) era il vero Vernichtungslager (campo di sterminio); l’immenso lager nel quale persero la vita oltre un milione e centomila persone, in grandissima maggioranza ebrei, russi, polacchi, prigionieri di guerra, omosessuali, oppositori politici e zingari. Dopo l’arrivo dei prigionieri, questi venivano selezionati e quelli inabili al lavoro venivano condotti alle camere a gas con lo scopo di essere uccisi. Crematorium_at_Auschwitz_I_2012Birkenau era inoltre il più esteso Konzentrationslager e arrivò a contare fino a oltre 100.000 prigionieri presenti. Era dotato di quattro grandi Crematori e di «Roghi», fosse ardenti ininterrottamente giorno e notte, usate per l’eccedenza delle vittime che non si riusciva a smaltire nonostante le pur notevoli capacità distruttive delle installazioni di sterminio. Sopra il cancello di ingresso si trovava la cinica scritta “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi). I prigionieri che lasciavano il campo per recarsi al lavoro, o che vi rientravano, erano costretti a sfilare sotto questo cancello, accompagnati dal suono di marce eseguite da una orchestra di deportati appositamente costituita. Le SS selezionarono alcuni prigionieri, spesso criminali comuni di origine tedesca o ariana come supervisori per gli altri detenuti. Tali supervisori, chiamati Kapo, si macchiarono, nella maggior parte dei casi, di orrendi crimini abusando del proprio potere e divenendo così complici dei propri carnefici. Gli internati vivevano in baracche chiamate Block dotate di letti a castello a tre piani di tipo militare; le condizioni di sovraffollamento delle baracche, spesso utilizzate al doppio della capienza massima, costringevano i prigionieri a dividere un pagliericcio in due o più favorendo la trasmissione di parassiti e germi, che aumentavano le già elevate possibilità di infezioni e malattie. Gli ebrei, nella scala sociale del campo, erano all’ultimo posto e ricevevano il peggior trattamento. f60a000000000000.900x600Le dimensioni di Birkenau erano immense: circa 2,5 km per 2 km; il campo era circondato da filo spinato elettrificato; ogni giorno moltissimi prigionieri, stremati dalle impossibili condizioni di vita, a volte peggiori di quelle di Auschwitz e di Monowitz, andavano a gettarsi sul reticolato ad alta tensione per porre fine alle loro sofferenze; era la morte “svelta e dolce”, nel gergo del campo «andare al filo». Il 14 giugno 1940, seppur ancora in fase di costruzione e ampliamento, il campo di Auschwitz ricevette il primo convoglio di 728 deportati, accolti con le parole: «Voi non siete venuti in un sanatorio, ma in un lager tedesco. Qui esiste solo l’entrata e non c’è altra via d’uscita che il camino del forno crematorio. Museo Holocaust Memorial 1

Se a qualcuno questo non piace, può andare subito a buttarsi sul filo spinato ad alta tensione. Siete venuti qui per morire: gli ebrei, non hanno diritto a sopravvivere più di due settimane, i preti un mese e gli altri tre mesi». I convogli di deportati (circa 2.000 – 2.500 prigionieri per treno), spesso chiamati trasporti, composti da vagoni merci contenenti dalle 80 alle 120 persone costrette a inimmaginabili condizioni di vita e igieniche, che spesso viaggiavano per 10-15 giorni per raggiungere la loro ultima meta, erano organizzati da uno speciale dipartimento dell’RSHA (ufficio centrale per la sicurezza del Reich): l’Amt IV B 4 comandato da Adolf Eichmann. P1010307Eichmann e i suoi collaboratori in qualità di esperti di “problemi ebraici” gestirono l’intera parte logistica dello sterminio suddividendo i convogli sui diversi centri di sterminio in base alla capacità “ricettiva” dei centri stessi. I treni di deportati, a partire dal 1942 fino al maggio 1944, arrivarono a una piccola banchina ferroviaria, universalmente nota come la rampa degli ebrei o, in tedesco, Judenrampe e situata a circa 800 metri all’esterno del campo di Auschwitz, nei pressi dello scalo merci della stazione di O?wi?cim. Nel maggio 1944, per semplificare le operazioni di sterminio dei numerosi convogli provenienti dall’Ungheria, la linea ferroviaria fu prolungata all’interno del campo di Birkenau fino a una nuova banchina a tre binari chiamata Bahnrampe.  Appena arrivati a destinazione i treni venivano rapidamente scaricati e avveniva la selezione, tra gli abili al lavoro e coloro da inviare direttamente alla morte. L’area veniva circondata da SS armate e da altri internati che provvedevano ad accostare rampe in legno alle porte dei vagoni per semplificare e velocizzare la discesa dei nuovi arrivati. Gli stessi internati – che avevano l’assoluto divieto, pena la morte, di parlare con i nuovi arrivati per evitare il panico negli stessi – provvedevano a scaricare i treni in arrivo dei bagagli che successivamente venivano portati presso il settore Kanada di Birkenau dove si effettuava la cernita e l’imballaggio dei beni per il successivo invio in Germania. Kazimierkiewicz_georg_1_hpkGli uomini venivano separati dalle donne e dai bambini formando due distinte file. A questo punto personale medico delle SS decideva chi era abile al lavoro.

P1010308Mediamente solo il 25% dei deportati aveva possibilità di sopravvivere. Il restante 75% (donne, bambini, anziani, madri con figli) era inviato direttamente alle camere a gas. Le percentuali abili/gasati fluttuarono per tutto il corso del conflitto, in base alle esigenze dell’industria bellica tedesca. Vi furono casi di interi treni di deportati inviati direttamente alle camere a gas senza nessuna selezione a causa del sovraffollamento del campo e del preventivato rapido arrivo di nuovi convogli. 370a000000000000.900x600La selezione era operata esclusivamente da personale medico delle SS, uno o più dottori a turno operavano il servizio alla rampa, tra loro un nome su tutti, Joseph Mengele. È importante notare come in questa fase le SS mantenessero un comportamento gentile e P1010326accondiscendente al fine di mascherare le loro intenzioni e velocizzare le operazioni di scarico e selezione, infondendo falsa fiducia nei prigionieri appena arrivati, normalmente stanchi e confusi dal lungo viaggio. Coloro considerati non utili allo sforzo bellico venivano inviati immediatamente in una delle quattro camere a gas mascherate da docce situate a Birkenau dove, in gruppi, i prigionieri venivano uccisi con  Zyklon B. Un’altra camera a gas, la prima costruita, era presente anche ad Auschwitz e fu operativa dal 15 agosto 1940 al luglio 1943, quando fu definitivamente abbandonata in favore delle più “efficienti” camere presenti a Birkenau. I deportati venivano trasportati (a piedi o con gwWP_20160122_15_20_10_Prorossi camion) verso le camere a gas, che si trovavano dall’altra parte del campo rispetto alle banchine di arrivo. Qui giunti venivano introdotti in un locale camuffato da spogliatoio con tanto di descrizioni multilingue delle procedure per il successivo recupero dei vestiti. I prigionieri dichiarati abili al lavoro venivano condotti negli edifici dei bagni, dove dovevano, anzitutto, consegnare biancheria e abiti civili, nonché tutti i monili di cui erano in possesso; venivano privati, inoltre, dei documenti d’identità eventualmente posseduti. Uomini e donne potevano conservare solo un fazzoletto di stoffa; agli uomini era concesso conservare la cintura dei pantaloni. Successivamente, i prigionieri venivano spinti nel locale in cui erano consegnati ai barbieri, che li radevano su tutto il corpo. L’operazione era condotta in maniera sbrigativa, dopo aver inumidito le zone sottoposte a rasatura con uno straccio intriso di liquido disinfettante. Passaggio successivo era la doccia, cui seguiva la distribuzione del vestiario da campo: una casacca, un paio di pantaloni e un paio di zoccoli. Olocausto 5I detenuti ritenuti “abili al lavoro” dovevano lavorare fino allo stremo per numerose ditte tedesche. Nel campo non c’erano servizi igienici, nessuna assistenza medica, fame ed epidemie erano all’ordine del giorno. Rasati a zero, scorticati con rasoi senza filo fin nelle parti intime, disinfettati con prodotti urticanti e lavati nel peggiore dei modi con acqua bollente alternata alla gelata, ai prigionieri arrivati venivano poi dati i logori panni del campo, costituiti da specie di “pigiami” a strisce grigie scure e chiare o abiti riciclati con grandi toppe visibili tolti ai deportati prima di loro. Olocausto 3Pesanti e spaiati zoccoli di legno completavano la “divisa”. Poi i detenuti ricevevano un numero progressivo che veniva tatuato loro sull’avambraccio sinistro. Seguiva la registrazione del numero compilando una scheda con i dati personali (Häftlings-Personal-Karte) e con l’indirizzo dei familiari più prossimi. I neo entrati venivano avvisati che d’ora in avanti non sarebbero più stati chiamati per nome ma diventavano solo dei “pezzi” (Stücke) numerati, un numero che erano obbligati imparare a memoria in tedesco, sia a pronunciare che a riconoscere quando si veniva chiamati. a70a000000000000.900x600Per tutte le operazioni nel campo era necessario usare il numero, sia per ricevere la brodaglia del vitto che nelle estenuanti conte degli appelli; qualunque errore sarebbe stato punito impietosamente. Dalla pratica del tatuaggio erano esentati i cittadini tedeschi ariani, i prigionieri “da rieducare”, nonché gli ebrei provenienti da Varsavia durante e dopo l’insurrezione del Ghetto nell’agosto-settembre 1942; a costoro era riservato un trattamento di punizione particolare, effettuato con efferatezza e sadismo estremi. Non era necessario registrarli perché sarebbero stati uccisi di lì a poco con modi atroci.

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Il numero di matricola, impresso su un pezzo di tela, era anche cucito sul lato sinistro della casacca, all’altezza del torace, e sulla cucitura esterna della gamba destra dei pantaloni. Al numero era associato un contrassegno colorato, che identificava le diverse categorie di detenuto. Nessuno parlò, nessuno, se non a rischio della vita, cercò di far sapere al Mondo cosa stava accadendo. Il Reich mascherava la realtà con l’esempio di Terezin, dietro la maschera agivano i mostri…Dachau

 

 

 

Gian Nicola Pittalis